Rwanda - Repubblica Democratica del Congo - Rwanda
Sono partita per la mia prima Missione volendo fare un sacco di cose.
Volevo raccogliere materiali per migliorare sempre di più la comunicazione di Okapia, imparare le parole quotidiane in kinyarwanda e kiswahili, prendere appunti a ogni riunione, memorizzare le tantissime nozioni di storia e cultura che mi ha raccontato Dennis. Magari anche lavorare un’oretta al giorno e, perché no, riuscire a leggere ogni tanto.
Sul volo di ritorno, però, la mia soddisfazione non era data dalla quantità di cose che mi erano effettivamente riuscite, ma dal fatto che ciò che volevo fare fosse subito passato in secondo piano rispetto a ciò che mi è successo, fin dal primissimo giorno. Le aspettative e i preconcetti sono spariti di fronte alla forza trascinante del momento presente: una sensazione che ormai non faceva più parte della mia quotidianità milanese e che Okapia mi ha regalato di nuovo.
Non sto dicendo che sia automatico, soprattutto perché i ritmi di una Missione sono tutt’altro che rilassati. Nel nostro caso, in nove giorni abbiamo fatto Rwanda - Repubblica Democratica del Congo - Rwanda, muovendoci tra i quartieri di Kigali e Bukavu in un’agenda fitta di incontri con partner e beneficiari.
E non si può nemmeno dare per scontato ciò che man mano si impara.
Un giorno ti senti una volontaria provetta perchè hai capito che le soluzioni devono fare i conti con i contesti, che l’esperienza senza la presenza sul campo può diventare superbia, che la fiducia si costruisce nel tempo, che far del bene non è nè facile, nè veloce, nè banale. Tutte cose vere e fondamentali.
Ma poi arriva Bukavu a scombinare le carte in tavola: un’altra lingua, un contesto molto più feroce, una fatica che in fondo speravi di riuscire a non provare e che ti fa sentire così piccola nel tuo desiderio di un po’ di respiro dal fango e dal disordine.
La fatica, a ben guardare, è presente tutti i giorni di una Missione. Non c’è niente che in quei quartieri non sia difficile, dalla strada piena di buche appena usciti di casa al fango da scalare per arrivare a scuola. Non lo sono i rapporti, né i piccoli cambiamenti. Proprio per questo, il fascino più grande che ancora rimane a settimane dal ritorno è questa misteriosa e potentissima nostalgia.
Se proprio devo provare a razionalizzare questo desiderio di ritorno, la prima cosa che mi viene in mente sono i volti delle persone incontrate. Non fraintendetemi: neanche le persone sono semplici. Però l’accoglienza, l’intraprendenza e la voglia di mostrare cosa si è in grado di fare sono spettacoli così entusiasmanti che è impossibile non sentirne la mancanza una volta tornati a casa.
Quindi consiglio una Missione con Okapia a tutte le persone a cui voglio bene e agli sconosciuti che hanno bisogno di bucare la propria bolla per prendere una boccata d’aria fresca. Gli unici requisiti indispensabili sono una predisposizione all’imprevisto e all’innamoramento, inteso come quell’apertura totale - e in parte irrazionale - verso qualcosa che chiede tutto e in cambio ribalta la vita.
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